cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

martedì 19 febbraio 2013

SAB.02 MARZO | Il Pentagramma presenta SFIDE con live PUBLIC + L'UNO MENO UNODUE + DJ/VJ SET TRIANGLE | COLOR CAFE'

Il Pentagramma magazine presenta il XII numero "Sfide"
Live acustico con PUBLIC + L'UNO MENO UNODUE
Dj/Vj-set TRIANGLE




SABATO 2 MARZO al Color Cafè, il Pentagramma è lieto di presentare il nuovo numero: SFIDE !
Per l'occasione ci sarà l'inaugurazione di una mostra collettiva a tema libero.

"La sfida non attende. La vita non guarda indietro. Una settimana è un periodo più che sufficiente per decidere"
P.Coelho

Anche tu hai solo una settimana per mandarci la tua creazione: fotografie, disegni, grafiche, tutto ciò che può rimanere appeso al muro! La mostra la fate voi!
Tutti i lavori rimarranno esposti per 30 giorni, il migliore diventerà la copertina del prossimo numero del Pentagramma!
Quindi datti una mossa e inviaci il tuo lavoro a ilpentagramma.magazine@gmail.com entro le 23:59 di mercoledì 27 febbraio!

Ad accompagnarci nel corso della serata i
Public con del sano Alternative / soul rock // new hippie,

E a seguire
L'uno meno unoDue Alternative / New Wave / Post punk in acustico


Per concludere la serata un super dj set a cura di triangle!

link all'evento facebook qui


Non puoi mancare!
 

sabato 16 febbraio 2013

CMYK, i colori dello spirito in movimento

Ho avuto il piacere di partecipare ad un seminario intitolato Lo Spirito in Movimento che si è tenuto il 27 di Gennaio all’”Hotel Glamour di Cassola.
Lha organizzato un caro amico, Franco Rossi, uno specialista in estetica applicata, massaggiatore, esperto in lettura energetica e terapie olistiche in genere, sostenitore della Medicina Alternativa.
Franco ha fondato assieme ad unamica brasiliana, Alexsandra Vieira, un progetto che sta portando in giro per ora, per tutto il Brasile e il nord Italia, chiamato  Fluido Bastoes .
Alexsandra, anche lei una cara amica, è una medium Brasiliana direttrice di una scuola di Recife, la Quinta de Luz dove ogni anno, migliaia di persone si recano per ritrovare se stesse e guarire i loro mali mentali e fisici. In questa scuola, Alexsandra insieme a molti medici specializzati in vari ambiti e altri medium, aiuta queste persone gratuitamente,  mentre i costi relativi allacquisto di materiale e manutenzione della struttura, sono coperti grazie alle donazioni dei privati o di altri enti.
Il progetto Fluido Bastoes si pone lobiettivo di aiutare le persone a ritrovare la forza di credere in se stesse e di sbloccare le paure e le insicurezze che sono stagnanti in alcune zone specifiche del nostro corpo e non permettono di far scorrere lenergia vitale nella maniera più fluida, in esso e nella nostra anima. Per individuare questo tipo di blocchi, viene utilizzata una particolare tipologia di pendolo,mentre per far fluire lenergia vitale, vengono utilizzati dei bastoni di cristallo colorato e delle campane di vetro armonico.
Ma non è sufficiente che solo la nostra anima sia in movimento, anche il nostro fisico ha bisogno di essere allenato e stimolato, come ha sostenuto al seminario un sorridente ragazzo Brasiliano, Michelangelo De Oliveira.
Michelangelo è diplomato in Management dello Sport e Marketing, personal trainer ed esperto di Allenamento funzionale. Con lui abbiamo praticato alcuni esercizi che ci hanno aiutato a comprendere che fare sport non significa solamente fare massa muscolare, ma anche andare oltre ai propri limiti mentali, esplorare se stessi e lambiente circostante senza avere paura di cadere, di rialzarsi e di cadere nuovamente, come eravamo abituati a fare da piccoli nel momento in cui abbiamo appreso a camminare. Ci ha detto: Bisogna  stare in continuo movimento per non perdere lequilibrio, non si può pensare di elevare le proprie percezioni senza prima avere coscienza del proprio corpo.
Probabilmente penserete che in un seminario del genere, la Medicina non possa essere presente, ma devo dirvi che ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere il Presidente della Società Italiana di Medicina Quantistica, il Dott. Michelangelo Catalano, anchegli relatore in questa giornata.
Il Dott. Catalano è medico chirurgo, specializzato in agopuntura, omeopatia e Medicina Quantistica, Direttore dellIstituto di Ricerca e Scuola Medicine Alternative Domenico Fontana di Roma.
Con il Dott. Catalano ci siamo avventurati alla scoperta della Medicina Quantistica, abbiamo capito (avevo la testa in fumo, difficilissimo ma super interessante!!!) cos’è e di cosa tratta, e su che basi questa scienza è fondata.
Non è facile da spiegare, e credo che sia così perché sono ambiti di cui non siamo abituati a parlare e terminologie tecniche che non appartengono a tutte le persone comuni, tanto meno a me, ma ci proverò.
La Medicina Quantica, si basa sul concetto di Fisica Quantistica, chiamata anche Meccanica Quantistica. Questa scienza è nata a cavallo tra il IX e il XX secolo perché era sorta la necessità di rappresentare scientificamente cosa fosse la spiritualità, qualcosa di intangibile, come la luce e lelettrone.
Secondo la Meccanica Quantistica, tutta la nostra esistenza, noi, gli altri, gli animali, i vegetali ed ogni cosa presente nelluniverso, siamo costituti da insiemi di Quanti che vibrano ad una certa frequenza emettendo delle radiazioni.  Le radiazioni sono misurate in hertz .
Attraverso la congelazione immediata di una goccia dacqua, i fisici quantistici hanno scoperto con losservazione a microscopio, che la struttura del cristallo di ghiaccio dellacqua di fonte di montagna è perfetta e lineare, mentre la struttura del cristallo di ghiaccio prelevato da acqua che è passata attraverso molti luoghi, è amorfa e in qualche modo esteticamente brutta. 
Anche bere dellacqua felicemente, rispetto a berla di malumore o in seguito ad una forte arrabbiatura fa sì che i cristalli che la costituiscono e che vengono introdotti allinterno del nostro corpo, mutino a seconda di queste vibrazioni. 
Questo ci ha portato a capire che tutto ciò che ci circonda dipende da noi, dalle vibrazioni che emettiamo e dallenergia che sviluppiamo. Che lo Spirito e il Corpo sono correlati. In effetti, la Medicina Quantistica rende conscia tale connessione per poi usarla come potente mezzo di guarigione.
Ma a proposito di energia, quanti di voi conoscono i chakra?
Franco Rossi ha cominciato a spiegare che i chakra sono delle ruote di energia/luce che troviamo in alcuni punti specifici del nostro corpo. Sono 7, disposti verticalmente a partire dal perineo fino alla fontanella quella fessura molle situata nella parte superiore della scatola cranica che tutti i neonati hanno e che poi con il tempo si chiude e solidifica.
 I chakra sono punti di forza dellenergia umana, gli organi del campo energetico luminoso. Sono dischi pulsanti e COLORATI di energia.

Nella spiritualità e nella medicina alternativa, i colori hanno unimportanza fondamentale! CMYK!
C, cyan. Corrisponde al quinto chakra, quella situato allaltezza della laringe. Parola chiave di questo chakra, Io comunico. Sono davvero quello che credo di essere?
M, magenta. E il primo chakra, situato nel perineo, nel plesso della radice. Parola chiave, Io esisto. Nellaspetto emozionale riguarda la sopravvivenza, listinto, la rabbia e la vitalità, il concretizzare.
Y, yellow. Corrisponde al terzo chakra, situato allaltezza dello stomaco, del plesso solare. Lelemento di questo chakra è il fuoco, parola chiave, Io voglio. Ma alla fine io, cosa voglio? Devo iniziare a fare ciò che desidero!
K, Key black. Corrisponde allunione di tutti i colori dei 7 chakra. Corrisponde al flusso di energia che scorre nel nostro corpo dallalto verso il basso e viceversa per irradiarsi tuttintorno a noi in una splendida vibrazione di luce.
Ma a quanti hertz? E oltre a noi, quali altre entità vibrano attorno a noi nella piramide delle frequenze?
Alla prossima puntata!

L.P.

venerdì 15 febbraio 2013

Conflitto

Umidità.Sete.
Vorrei un vestito
di ghiaccio.Essere
un iceberg.
Non sentir nulla.

Congelare il cuore.
E allora bramisce
dal mio cuore
quell' orso
bianco,che tenta
di nuotare

in mezzo al mare,
cercando cibo,
una lastra
fredda per sdraiarsi,
stanco.La mia
glaciazione

è la sua sopravvivenza.
Ma è estate,
il cuore è rosso, affannato,
dilatato
ed è tempo
di liquefazione...

L'orso nuota
a grandi falcate,
poi fa il morto
al sole immobile,
si lascia
trasportare

tra le onde,
come una formica
in una lavastoviglie.
La vita a volte
stride
con la vita.







E.E. Accardo

sabato 2 febbraio 2013

Yellow Submarine

Un viaggio colorato in compagnia dei fab four



Tra la collezione di 33 giri di mio padre ce n’è uno in particolare che chiedevo sempre di ascoltare  quand’ero piccolo, non tanto per la musica in se ma per la fantastica copertina stile cartone animato. Successe poi che, arrivato alle scuole elementari, trovai la maestra Giulia, fan numero uno dei Beatles, la quale ci propose per i “giochi della gioventù” di presentare un balletto sulle note di Yellow Submarine. Appena attaccò lo stereo mi sentii invaso da una gioia infinita, come il giovane Marcel, alle prese con la madeleine... alla ricerca del suono perduto. “Un piacere delizioso m'aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M'aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l'amore, colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me. Era me stesso.”

Corsi a casa a cercare il disco: eccolo, impolverato, con la copertina non più lucida, coperta da un opaco velo giallino di “antichità”, quel saltino che la puntina del giradischi fa lungo il solco rovinato (o consumato?) a metà di It’s all too much, lato uno.
Cambio lato, attacca Pepperland, giro la copertina...Original film score composed & Orchestrated by George Martin...Film?!? “Papà ma non mi hai mai detto che avevano fatto un film!”...”Ma certo! Ce l’abbiamo pure in cassetta, giù in cantina, affianco a Tempi Moderni! ”.

Ecco com’è avvenuto il mio primo contatto con i Beatles, gruppo che, anche per questi simpatici aneddoti, porto sempre con me, in testa e nell’mp3.
Per quanto mi riguarda i Fab Four sono, e rimarranno per sempre, un gruppo immenso, pieno di inventiva e che riesce a spaziare in una miriade di generi, pur mantenendo una costante che li caratterizza. Vuoi la voce di McCartney o la schitarrata inconfondibile dell’accoppiata Lennon-Harrison, li si potrebbe riconoscere ad occhi (e orecchie?!) chiusi.  Nelle loro canzoni c’è un qualcosa di inconfondibile, un colore particolarissimo che li distingue da un qualsiasi altro gruppo esistito.

Ma torniamo alla storia, i Beatles nascono il 6 luglio 1957 quando ad un giovane Lennon, che era in procinto di fare una delle sue prime esibizioni alla festa annuale della parrocchia di St. Peter a Liverpool,  viene presentato un quindicenne McCartney. Da questo semplice incontro nascerà e si svilupperà uno dei più grandi fenomeni mondiali che la storia abbia conosciuto: Paul entrò velocemente nel complesso al quale si unirono in seguito George e infine Ringo. Il nome nacque dopo una serie di sfortunati e fantasmagorici tentativi: Johnny and The Moondogs, Beatals, Silver Beetles, Silver Beatles solo alcuni esempi.

Tanto per renderci conto di quanto si prendessero sul serio i quattro, la leggenda vuole che quando conobbero per la prima volta George Martin (un dei più grandi produttori discografici dell’epoca che decise di metterli sotto contratto con la EMI e fece loro scalare le classifiche di mezzo mondo) George gli disse: "First of all, I don't like your tie" (per prima cosa, non mi piace la tua cravatta).



Yellow Submarine è un film d’animazione del 1968, diretto da George Dunning. Narra di Pepperland, una favolosa città in fondo al mare dove la musica, i colori, i fiori, l'allegria e, soprattutto la pace e l’amore regnano incontrastati. Tutto bene finché i Biechi Blu, con la forza delle armi, rendono la ridente cittadina subacquea un triste e grigio luogo dove odio e silenzio hanno il sopravvento. Saranno i fantastici Fab Four, dopo aver attraversato i sei mari a bordo dello yellow submarine, a sconfiggere, a colpi di note musicali coloratissime, l’incantesimo che rende prigionieri gli abitanti e a scacciare i Biechi Blu. Il tutto si risolve con un gigantesco (e immancabile) concerto e sfuma verso i titoli di coda sulle note di All Togheter now!

Si conclude così questo capitolo coloratissimo della storia dei Beatles.

Tutti conosciamo il triste epilogo, lo scioglimento della band, la morte prima di Lennon, poi di Harrison... Ma io voglio ricordarmeli così, sorridenti, capelloni, spensierati, coloratissimi, innamorati della vita e della gente; e ogni tanto rispolverare il vecchio giradischi e riassaporare il calore (e il colore) dei suoni inimitabili dei Fab Four.




Ascolto e visione consigliata: Yellow Submarine, The Beatles (1969)
Yellow Submarine, George Dunning (1968)



A.L.

Blue

“You say to the boy open your eyes
When he opens his eyes and sees the light
You make him cry out.
Saying
O Blue come forth
O Blue arise
O Blue ascend
O Blue come in”



Inizia così Blue (1993), ultimo film del regista Derek Jarman, attivo negli anni ‘80, in un’Inghilterra che vede nascere il punk e altre sottoculture caratterizzate dalla voglia di urlare al mondo il proprio disagio. Derek si afferma nel ruolo di regista ribelle e coraggioso, lavora con i Sex Pistols e con gli Smiths, rende pubblica prima la sua omosessualità e più tardi la sua condizione di persona malata  di Aids.
Proprio dell’aids parla Blue, 76 minuti di pellicola e un unico fotogramma in saturazione di blu,  Blue Klein per l'esattezza, in omaggio all'omonimo artista che fa di questo colore l'elemento centrale della sua vita. Qui le voci e i suoni prendono il posto dell’immagine, tra cui quella del regista che racconta delle situazioni, racconta la sua lotta quotidiana contro la malattia, che lo sta portando alla cecità prima che alla morte.
Non sai se guardarlo o se ascoltarlo questo film, ma poi pensi che non è la radio, e che forse bisogna proprio fissare lo schermo per capirci qualcosa. Ma perché proprio il blu?  In inglese “feeling blue” viene usato per descrivere lo stato melanconico, ma non doveva essere solo per questo.
Dopo un po’ che guardavo il film (fa strano chiamarlo film, eppure lo è) mi sono resa conto di quello che la mia mente inconsapevole stava facendo; da un lato creavo io gli attori e immaginavo la scena, dall’altro lato associavo l’immagine di quel rettangolo blu alla profondità di un fondale oceanico, all’ampiezza del cielo quando è di quel blu intenso e carico, che sembra schiacci tutto verso il basso.


Tutta l'interpretazione era lasciata a me, Jarman con questa visione introspettiva di se stesso, attraverso il blu  profondo, ampio e senza figure, vede e fa vedere tutto ciò che a questo colore si può  ricollegare. Allora mi dico “beh, geniale”, anche perché nonostante tutto si percepisce che il regista non smette un secondo di essere fuori dagli schemi e provocatore.
Qui si mette in crisi il concetto stesso di cinema. Jarman mette in crisi noi tutti, mette in crisi la società dell'immagine negandone le immagini, dimostrando che attraverso il suono e il colore si può  vedere più in profondità. “Abituato a credere nell’immagine, in un'idea assoluta di valore, il mondo ha dimenticato l’imperativo della sostanza [...]”
Provoca una società repressiva per la quale l'aids è un argomento considerato difficile da affrontare, un argomento tabù. Nei monologhi di Blue descrive dettagliatamente la malattia, esponendo in maniera puntigliosa il suo manifestarsi; è duro, diretto a volte tragicamente ironico, tira in ballo anche la religione:“Il Gautama Buddha dice di allontanarsi dalla malattia, ma a lui non hanno mai fatto una flebo”. Un rivoluzionario Derek Jarman.
Alla fine di tutto resta il blu... e io mi dico che è più facile vedere il cinema muto che il cinema cieco, per questo consiglio di provare l'esperienza di questo film, soprattutto a chi sa cogliere sfide culturali, emotive ma soprattutto sensitive.



Visione consigliata: Blue, Derek Jarman (1993)


G.G.

Il Bianco




Il bianco circonda le nostre case: è dappertutto, come una banale comodità della quale ormai abbiamo imparato a sopportare la presenza.




 
Lo si giustifica banalmente con il seguente trittico:

-È luminoso (non è l'unico)
-È facile da ritoccare (sbagliato: esistono molte varianti del bianco)
-“Allarga” la stanza(come altri colori)

Perché il bianco ci accompagna sempre? Merita davvero un tale trattamento?
Per rispondere serve capire che il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che la retina invia al cervello quando assorbe le radiazioni elettromagnetiche della luce (mi perdonino i fisici per l'ingrata sintesi).

E' fondamentale partire dal presupposto che il colore non è un' entità, ma una percezione, e se quest'ultima avviene non solo attraverso un processo fisico, ma anche culturale, il passo è fondamentale.
La cultura è la grande variabile nella percezione del colore, e il bianco ha radici molto lontane in merito.

In architettura il periodo greco-romano fu un periodo mitizzato da tutte le correnti artistiche successive al Rinascimento che lo aveva scoperto, e tutti i suoi edifici riportati alla luce erano privi di pittura sulle superfici esterne dopo secoli di noncuranza. La deduzione più ovvia fu d’immaginarli bianchi, anche perché la purezza di quel colore si avvicinava molto bene al concetto di purezza formale che quegli edifici avevano acquisito nell’evoluzione culturale, poco importa se un secolo dopo si scoprì che il Partenone ad Atene e molti altri templi originalmente erano colorati con pitture appariscenti di decorazioni.

Il danno ormai era fatto: nell’immaginario collettivo l’architettura classica era bianca.

La dose fu rincarata all’inizio del 900, con il Razionalismo (vedi Adolf Loos) che bandì ogni decoro ed eccesso. Il bianco si è dunque autoproclamato paladino del purismo formale di vari maestri dell’architettura.
Da Le Corbusier a Richard Meier, il quale del bianco ne ha fatto una firma.

“Sono molti gli aspetti legati al bianco. Innanzitutto, l’architettura è creazione di uno spazio definito attraverso superfici, elementi lineari, aperture e chiusure. Tutti questi elementi sono essenziali per l’architettura, e il bianco ne rende più evidenti le differenze. Credo che il bianco renda vivi gli elementi architettonici. Il secondo aspetto riguarda il fatto che l’architettura è fatta dagli uomini, è statica, non cambia, non cresce nel tempo. È la natura che cambia durante il giorno, nel corso delle stagioni, e il candore degli edifici aiuta a riflettere la differenza tra ciò che è stato fatto dall’uomo è ciò che è naturale. Ci aiuta a percepire la natura che ci circonda e il modo in cui l’architettura la riflette.”

Non si pensi però che il bianco sia la risposta ad ogni verità, come un'ideale di perfezione, di purezza e innocenza, legato alla sfera dell'intelletto a differenza del colore, simbolo degli istinti primitivi.



Nella progettazione architettonica il colore è un elemento importante e può costituire una modalità tramite la quale, oltre ad ampliare le caratteristiche degli spazi e delle superfici è possibile connotare il linguaggio della stessa architettura.

Ed è l'influenza culturale che ha trasformato il colore (oltre al bianco) in un mezzo espressivo che necessita di una specifica progettazione e di un'attenzione particolare, essendo in stretto contatto con l'uomo e con l'ambiente che lo circonda.



M.B.