cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

sabato 27 luglio 2013

Philip Glass

Il suono del vetro

“Io scrivo per un pubblico ideale, e per me il pubblico ideale è quello che vuole ascoltare sempre qualcosa di nuovo”.
Il primo concerto della “nuova” musica di Philip Glass fu presentato una sera del 1968.
Alla Jonas Mekas’s Film-Makers Cinematheque Glass propone un omaggio a Erik Satie per due flauti e una composizione per violino. Gli spartiti sono appesi alle pareti della sala, di modo che gli strumentisti vengono costretti a muoversi tra il pubblico a formare una sorta di piece drammaturgica.
Inizio degli anni ’60: finiti gli studi di composizione, Glass oltre a cominciare a scrivere musica propria -di forte impronta minimalista- lavora come tassista e gestisce un’azienda di traslochi. Sarà da questa esperienza che, assieme allo storico amico di studi Steve Reich, il compositore formerà un gruppo che comincia ad esibirsi nei principali musei e gallerie d’arte.

L’infanzia passata tra i dischi di musica contemporanea del negozio del padre lo portano dapprima a studiare flauto per poi dedicarsi al college alla matematica e alla filosofia e infine riprendere gli studi di composizione. Trasferitosi a Parigi per continuare gli studi viene a contatto con le avanguardie musicale del tempo, Boulez, Cage, Feldman ma rimane fortemente colpito dagli spettacoli di Goddard e Truffaut musicati da Barrault.
Tornato da un periodo “meditativo” in India nel 1966 –durante il quale incontra il Dalai Lama e si converte alla religione buddhista- comincia a lavorare a stretto contatto con Ravi Shankar, rinnegando le composizioni del periodo precedente. Basandosi sulle proprietà ipnotiche dettate dai ritmi compulsivi e minimalisti indiani, Glass crea il proprio stile personale.
Tutto questo sfocia infine in Glassworks, album del 1981, tentativo del compositore di fare avvicinare con brani più corti e accessibili un pubblico più variegato e “generale”. Spogliatosi delle complessità compositive del passato Glassworks è una “bottiglia di vetro al cui interno è stato posizionato un veliero”, all’ascolto le emozioni e i sentimenti si susseguono senza troppe difficoltà. È come se Glass dopo anni di studio compositivo si fosse reso conto che nella semplicità dei pezzi sta il vero potere della musica. Un minimalismo esasperato. Flauto, Clarinetto, Corno, Violoncello, Viola e Sintetizzatore. Musica da camera? O da “walkman”?
Per quanto mi riguarda; Island, terzo dei sei movimenti che compongono il lavoro, dà perfettamente l’idea del disperato e ben riuscito tentativo di Glass nel rendere partecipe l’ascoltatore. L’input iniziale ci è dato, sta a noi continuare a far viaggiare la mente nell’isola eterea che è creata dagli archi, dal flauto che ci fa volare sopra le nuvole, tra le fronde degli alberi fino alla vetta più alta. Il lavoro dunque non è chiuso in sé stesso, ognuno ci dà la propria interpretazione, le proprie sfumature, è un lavoro intimo, personalissimo di ogni uditore.


Glass durante la sua carriera ha lavorato anche ad alcune colonne sonore tra le quali The Hours (S. Daldry 2002), L’illusionista (N. Burger 2006) e ha collezionato l’oscar come miglior colonna sonora per Diario di uno scandalo (R. Eyre 2007).
Ha collaborato anche con artisti del calibro di Brian Eno, Devid Bowie (del quale ha riadattato i temi di “Heroes” per comporre l’omonima sinfonia), Paul Simon, Suzanne Vega e Aphex Twin.
La potenza della musica del compositore sta nella soggettività. È quindi frutto di una impostazione totalmente intimista: il mio Glass non è il tuo Glass o il suo Glass. Il mio Glass né giusto, né sbagliato, né conclusivo, né inutile.
Il mio personale Glass.
A.L.


Da ascoltare: Philip Glass, Glassworks (1982)

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